“Marche di lusso”, no ma che c’entra il lusso…”Marche Pasquali”, no poi sembra il solito articolo su quale uovo tra Lindt e Kinder sia meglio…come fare allora a descrivere un luogo dove puoi trovare storia, arte, cultura, natura e cibi meravigliosi in un titolo? La risposta è nel luogo stesso…semplicemente Marche!
Regione appartata, sottovalutata e poco pubblicizzata, forse è stato proprio questo il segreto della sua bellezza, immutata nel corso della storia.
Per vivere al meglio un territorio come questo, ho scelto come base di partenza un piccolo borgo sconosciuto: Borgo Montemaggiore al Metauro.

Caratteristica principale del piccolo borgo è quella di essere un albergo diffuso. Il concetto non è ancora noto a tutti. In pratica è una forma ricettiva, abbastanza recente (riconosciuto in modo formale per la prima volta in Sardegna con una normativa specifica che risale al 1998), definibile come “paese albergo”, ovvero dove piccoli centri storici e borghi, insediamenti rurali o montani, diventano le “camere” dei visitatori di turno. Un modo di fare turismo veramente sostenibile e che dà una nuova opportunità di rilancio a realtà che altrimenti rischierebbero abbandono e degrado, creando una perdita enorme per il patrimonio culturale italiano.
Il piccolo borgo, però, ha anche avuto un passato strategicamente importante. Da qui infatti, Churchill (cui è dedicata la piazzetta principale) e i suoi generali monitoravano la situazione della sottostante linea Gustav. Fortunatamente il paesino è rimasto intatto e la vista sulla valle del Metauro è sensazionale.
Sensazionale più o meno quanto il menù al tartufo della locale locanda, facilitata nella selezione del pregiato tubero dalla prossimità ad uno dei centri più importanti del tartufo mondiale: Acqualagna.
Dopo essermi leccato i baffi con l’ennesima scorpacciata di tartufi, il viaggio nella valle del Metauro è proseguito verso il gioiello del rinascimento italiano, Urbino. Incastonato nella lussureggiante campagna marchigiana, la cittadella mi accoglie scrivendo il mio nome in ogni loggia, portone o insegna. Dopo una momentanea sensazione di onnipotenza, ovviamente, riconduco il tutto alla figura del condottiero Federico da Montefeltro, che fece grande il Ducato di Urbino, facendo diventare questa piccola perla d’Italia faro d’Europa nell’arte e nella cultura del nostro Paese, anche grazie al suo concittadino non meno noto, Raffaello Sanzio.

Urbino, per mia grande gioia, oltre a regalare sollievo all’anima ha donato sollievo anche alla mia meno nobile pancia. Tipicità del luogo sono le cresce sfogliate, deliziosi dischi di farina, sale, pepe, uova e strutto che qui hanno avuto i natali. La leggenda narra che il sole, sedotto dalla bellezza di Urbino, un giorno volò tanto in basso da impigliarsi in una delle torri del palazzo Ducale. Fu la forma infuocata dell’astro e le stille d’oro che ne cadevano, mentre cercava di liberarsi, ad ispirare ad una giovane fornaia, detta la Fornarina, una focaccia sfogliata.
Questa, per la leggera lievitazione e il desiderio di volare in alto, fu chiamata “Crescia”…e sappiate che col ciauscolo e la “casciotta” di Urbino (altre meraviglie made in Marche) è la morte sua.
Pasqua on the road…e Pasquetta pure. Rotolando (anche non solo figurativamente) verso sud, tra la riviera delle Palme e i monti sibillini, si erge la bella Ascoli. Bella è un attributo riduttivo per questa città dal centro storico unico, dove il travertino la fa da padrone quanto, se non più di Roma e le piazze, architettonicamente uniche, fanno il verso ad eleganti salotti in pietra.
Ascoli, però, è famosa soprattutto per una sua prelibatezza. E ci potevamo far mancare una quintalata di olive ascolane? Migliori, famosa gastronomia produttrice di olive, gioca facile con il nome. Effettivamente però sono le migliori…tradizionali, al tartufo e anche versione ‘veggie’ quinoa e ceci. Una festa si scatena al primo morso nel mio palato e non ha voglia di smettere.

Riesco a far placare il party papillare solo in un modo, ovvero bevendo caffè. E questa volta si può ben dire, che caffè. Antico caffè, che incornicia Piazza del Popolo, Il caffè Meletti è un tempio. Rara espressione di liberty nelle Marche, da qui sono passati personaggi del calibro di Stuparich, Zandonai, Badoglio, Sartre, Hemingway e Trilussa che, goloso dell’Anisetta Meletti, scrisse “Quante favole e sonetti m’ha ispirato la Meletti”. Quasi scordavo…il liquore tipico del Caffè è, per l’appunto, l’Anisetta Meletti. Prodotto fortemente legato al territorio, le piante di anice (Pimpinella Anisum) dalle quali si ottengono i semi utilizzati nella distillazione sono coltivate nei terreni argillosi delle colline marchigiane e rendono unico il suo sapore. Silvio Meletti, perfezionò e migliorò il liquore della bottega della madre nel 1870 e dopo 140 anni la sua Anisetta ha ancora la stessa formula.

Il caffè melettino (caffè, crema di anisetta e panna) ha finalmente placato la sete di olive ascolane e al contempo mi ha trasmesso nostalgia di tempi andati anche se mai vissuti. Un po’ come quella sensazione di nostalgia che mi ha pervaso nell’ultima tappa del viaggio, Recanati, patria del Sommo Leopardi, culla della letteratura italiana, che dona scorci infiniti ed ermi colli dai quali contemplare la bellezza di una terra unica e poetica.
E il naufragar m’è dolce in queste Marche.





