Tartufi a vapore

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Siena 2016, ore 8:40, binario 1. Lì, come una caffettiera sbuffante, mi attende una fiera locomotiva del 1915 con lussuose carrozze centoporte che si prepara a trasportarmi nella Val d’Arbia, lembo di terra che si estende tra la città del Palio e la più conosciuta Val d’Orcia, diretto a San Giovanni d’Asso, città del Tartufo delle Crete senesi.

Una natura brulla e incontaminata, disseminata di foreste e vigneti a perdita d’occhio, con colline dolcemente ondulate ornate da cipressi isolati, fa da sfondo al mio personalissimo viaggio nel tempo a bordo del treno a vapore, un nuovo/antico modo di conoscere un territorio che va visitato con una velocità d’altri tempi.

La dolce traversata del sud-est senese ha fatto breccia nel mio cuore. Al mio arrivo in questo piccolo borgo splendidamente conservato, dove il tempo pare essersi fermato al Medioevo circondato tutt’intorno dal paesaggio lunare delle colline argillose, la breccia si era ormai aperta anche nel mio stomaco.

Un assaggio di pecorino con miele, tutto rigorosamente al tartufo locale, mi ha dato la forza per fare un giro nel piccolo Museo del Tartufo, unico nel suo genere, dove attraverso esperienze  sensoriali si cerca di far vivere al visitatore il mondo del delizioso tubero toscano e dei suoi protagonisti: il tartufaio e il suo fedele lagotto.

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Meno famoso dei suoi cugini piemontesi d’Alba e marchigiani di Acqualagna, il Marzuolo è un tartufo dal sapore intenso, più piccolo per dimensione, meno nobile e costoso ma non per questo meno buono. Non c’è da farsi ingannare però: il prezzo è dato soprattutto dal fatto che se ne trovano in grandi quantità, grazie alla bontà del territorio e alla saggia legislazione, portata avanti dalla Associazione Tartufai Senesi,che regolamenta le stagioni di raccolta nel rispetto del riposo del terreno e dei cicli naturali.

Purtroppo, mi sono dovuto sacrificare assaggiandone una cascata sopra un tagliolino (qualcuno doveva pur farlo), e tra una forchettata e l’altra ho percepito quanto un prodotto possa essere simile alla sua terra. Rude, un po’ piccante e intenso, insomma un po’ come questa parte d’Italia che mi ha regalato una giornata splendida in un posto senza tempo.

Anzi, appena in tempo.

IN CARROZZAAAA!!!

 

 

 

 

Colazione con la storia

nonni

Alea iacta est. Ok, il dado è tratto…ma da cosa cominciare per parlare di storie di cibo? Non so. Devo valutare bene. Va bene ora ci pensiamo…facciamoci un caffè e buttiamo giù qualcosa.

Entro in cucina e la storia mi si para davanti: 160 cm e 91 anni di pura nonna DOP, intenta a fare colazione, circondata da prodotti che hanno fatto la storia dell’imprenditoria alimentare locale e nazionale.

Tre meraviglie, una classe ’24 (nonnAnna), i biscotti Gentilini, classe 1890 e la Moka Bialetti, classe 1919 (anno di nascita della Bialetti, la Moka è del 1933…formalmente più giovane di mia nonna, ma non diciamoglielo per non farla sentire troppo anziana).

Pezzi d’Italia che è cambiata. Di abitudini e di stili di vita stravolti, di tempi lenti e di innovazioni coraggiose e geniali che hanno accompagnato milioni di persone, ogni giorno, per un secolo.

E’ quasi un dovere, per un cittadino della città eterna, celebrare il biscotto Gentilini nel quotidiano rito del risveglio. Che sia un Osvego, un Novellino, un Brasile o un Vittorio…è un Gentilini, e tanto basta. Ma le mani che hanno creato queste delizie non hanno natali romani. Nato a Vergato nel 1856, il romagnolo Pietro Gentilini si trasferisce nella capitale dell’allora Regno d’Italia e apre il suo primo laboratorio per la produzione di pane e biscotti. L’intuizione del perfezionamento degli Osvego (italianizzando l’allora diffuso biscotto inglese “Oswego”) è stato l’inizio del successo di questa azienda. Da allora i cambiamenti sono stati molti: dal trasferimento dal centro storico alla sede in Via Tiburtina, all’introduzione di biscotti sempre più al passo coi tempi e le esigenze dei consumatori, fino al più  recente acquisto del nuovo stabilimento di Castel Madama per una nuova linea di fette biscottate. Sono passati 125 anni, ma la Gentilini non ha perso le sue origini. Nel veloce e frenetico mondo moderno, una storia di famiglia che con i suoi prodotti e il suo modo lento e sapiente di fare le cose continua a regalare gioie quotidiane ai romani di tutte le età.

Ma i biscotti Gentilini, pur essendo eccezionali biscotti secchi…non li pucci?

E allora vai con l’orgia di sensi che solo un caffellatte con caffè della Moka sa darti. La recente scomparsa del “baffo” Bialetti mi ha colpito nel profondo. Quanti litri di caffè avrò bevuto grazie a quest’uomo e a suo padre (Alfonso Bialetti, vero padre della caffettiera italiana), e quanti ne berrò ancora? La risposta è impossibile da dare ma una cosa è certa, ne berrò il più possibile. Il sapore di un caffè fatto nella più famosa macchina da caffè al mondo è un qualcosa di inarrivabile. Non esiste cialda che tenga. Ogni sorsata è un’esperienza e lo dobbiamo solo a questa azienda che da un’officina di semilavorati in alluminio di Crusinallo (Verbania) ha portato il design e l’innovazione italiana in tutto il globo e ha permesso al caffè italiano di distinguersi da ogni altro. Bialetti non ha creato un prodotto, ha creato un rito, un bisogno, una consuetudine. Ha legato un cognome e un’azienda ad un gesto che rende piacevolmente orgoglioso un italiano, soprattutto se appassionato di Food&Beverage come me.

Al momento della scomparsa di un personaggio così, ti rendi conto di quante cose dai per scontato tutti i santi giorni.

Per questo sono contento di poter fare del mio primo articolo su questo blog, un umile omaggio a questi uomini che hanno permesso a mia nonna e al sottoscritto di celebrare una colazione da Leone.